DIARIO DI VIAGGIO
“Calcutta”

E’ l’alba. Una luce malarica ed opaca trattiene pallida la stazione centrale di Calcutta.
Decine di povere anime, già prese dai loro traffici e lavori, sospingono a fatica decrepiti carretti carichi di merci e chissà quali speranze. Dietro ai binari, nella terra attorno a una pozza, gli ultimi, lavano inutilmente il fango dal fango dei loro corpi. La strada è ancora ingombra di uomini che dormono … tra loro, due bimbi randagi, dallo sguardo ancora fatto di sonno, stirano le braccia mentre ritornano alla vita dal buio della notte.

Ora faccio per uscire e mentre mi accodo, i miei occhi raccolgono due scalze e magre figure dai contorni evanescenti. Portano in vita uno sporco cencio marrone a coprire le loro intimità; mentre parlano veloce tra loro, ascolto una lingua nuda e antica che arriva a me dalle ere più lontane di questo Mondo, una lingua carica di suoni consonanti che cadono ai miei piedi in sonagli di vocali. Tra le urla di un vecchio iroso gli occhi neri di una vacca bianca mi confondono in questa folla millenaria e macilenta che a forza si trascina sulla strada.

Appena fuori dalla stazione, finalmente la Città, azzurra come un miraggio si mostra ai miei occhi in tutta la sua miserabile bellezza. E’ una scena contadina e medioevale quella che mi attraversa, fatta di umidi odori che impastano gli uomini, gli animali, le macchine.  Non c’è nessun ordine in quello che vedo, tutto si perde in un collasso di forme e si scarnifica dei propri contorni; tutto ha come unico fine quello di appartenere all’altro per essere se stesso. Le maglie del tempo si slabbrano, in un solo infinito presente …

Ora l’alba chiara di Calcutta sacrifica il bianco del proprio corpo sull’altare del nuovo giorno. Veloce, mi avvio alla ricerca di un taxi per raggiungere una delle tante guesthouse qui in città. Voglio dormire a Calcutta, vedere il tempio della Dea Kalì, perdermi nella città vecchia e arrivare alla casa di Teresa. Dal vetro della macchina, sotto un folle albero nudo, uomini dalle barbe diaboliche bruciano chissà quale dannazione. La stazione è ormai lontana persa in volute di fumo nero, mentre un sonno profondo scende su di me e mi risveglia a qualcosa che ancora non conosco.

Andrea Giacomelli